In un’intervista con Edoardo Albinati del 2016, il fotografo Gianni Berengo Gardin ci teneva a sottolineare di non voler essere considerato un artista, ma piuttosto uno che presentava il suo punto di vista attraverso la fotografia. Se siete ancora in tempo, fino al 2 Febbraio a Roma a Villa Quintili sull’Appia trovate una splendida mostra su Roma firmata da Gianni Berengo Gardin. Ecco cosa mi è piaciuto.
Dirò una bestialità, ma il lavoro di Gianni Berengo Gardin mi era quasi del tutto ignoto prima di stamattina, eccezion fatta per alcune sue famose immagini. Quello che mi ha colpito delle sue fotografie viste alla meravigliosa mostra di oggi a Villa Quintili, è la presenza quasi costante della figura umana. Una mostra sulla città di Roma poteva veramente essere un’occasione perfetta per far vedere dei meravigliosi scorci che solo chi ha vissuto un po’ di tempo questa città sa proporre, e invece no, ogni parco, ogni via, ogni monumento è battezzato con un paio d’occhi, due o tre figure che si accalcano nell’inquadratura, mani che spuntano dal nulla o gambe di donna. Nel contesto di questa bellissima villa romana, nel blu terso della giornata che è appena trascorsa, ho potuto apprezzare uno sguardo a me sempre vicino, senza tempo, assoluto.
“Non sono un artista”
Gianni Berengo Gardin
Quello che mi ha però colpito di più è stata la riflessione di cui il fotografo parla nella sua intervista con Albinati, che citavo all’inizio dell’articolo.
Berengo Gardin rifiuta di farsi chiamare artista, e nel periodo storico in cui viviamo anche solo questo può significare elevarsi al di sopra di milioni di possessori di macchina fotografica, come un mio insegnante amava etichettare alcuni fotografi.
Inoltre precisa che il suo unico ruolo è quello di essere un testimone del proprio tempo, e che il vero reale protagonista della fotografia è chi è ritratto, piuttosto che chi ritrae. Ecco, questo mi è sembrato un pensiero reale, profondo, difficile da comprendere se non si è passato tanto tempo dietro un obiettivo; c’è una grande sapienza nel sapersi riconoscere portatore di un unico compito, ovvero quello di captare e cogliere l’attimo, e che il reale vero soggetto che resta per sempre è chi ci troviamo davanti all’obiettivo. Sostiene in ultimo, in un altro passaggio della stessa intervista, di aver imparato tutto dai libri di fotografia senza aver fatto alcuna scuola: lo specifica senza, mi pare, nemmeno un velo di boria. Anche questo è un insegnamento prezioso: servono occhi per guardare, occhi curiosi ed umili e allo stesso tempo attratti da quello che si vede, sia se si tratta di una scena, sia se si tratta di una fotografia che qualcuno ha già scattato. Il punto è veramente solo questo, in ultima analisi: lo sguardo, sempre lo sguardo con cui si guardano le cose e le persone… è lo sguardo a fare la differenza.
Buona visione, allora!
Ps: l’unica immagine che trovate in questo articolo è una foto fatta alla mostra con il mio telefono di una piazza in un quartiere di periferia di Roma dove sono cresciuta. Incredibile pensare come si possa guardare una cosa tanto conosciuta attraverso gli occhi di un altro e trovare stupore ad ogni angolo.
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